L’Apocalisse non come fine, ma come rivelazione del senso

Il Cristo che viene - e che giudica - non separa la storia in vincenti e perdenti, ma dischiude un futuro a chi non ne vede più uno. Il suo giudizio è promessa: “io verrò e abiterò in mezzo a voi”. 

La sua parola rimette in piedi la dignità schiacciata e restituisce agli uomini il senso del tempo come attesa feconda, non come cronaca che scivola via. Cristo giudice: non tribunale, ma rivelazione. Nell’Avvento, la Chiesa contempla il Figlio dell’uomo che torna “con gloria”. Non un giudizio che pesa le colpe soltanto, ma un giudizio che rimettere ordine tra ciò che è menzogna e ciò che è umano, tra ciò che umilia e ciò che custodisce, tra ciò che divora e ciò che genera.

Cristo giudice rivela ciò che già siamo chiamati a diventare. Giudica togliendo le maschere, non togliendo la speranza. Per questo, nel Credo, la Chiesa proclama una verità che è insieme escatologica e presente: “verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti” - cioè per rimettere la storia nella sua luce vera.

L’Avvento ci insegna che Cristo non attende ai margini della storia, ma la attraversa come un fuoco mite. Non viene per rimuovere l’umano, ma per portarlo alla sua forma compiuta. Il suo giudizio è una trasfigurazione, non una sentenza. La Chiesa è chiamata a vivere non l’Apocalisse come fine, ma come rivelazione del senso: non il crollo, ma il parto; non il deserto, ma la soglia.

Cristo giudice è il volto della giustizia che consola, non della paura che annienta; è il Signore che non strappa la storia dalle mani dei popoli, ma li prepara a riconsegnarla trasfigurata al Padre. E, come nell’Avvento delle origini, anche oggi non ci chie- de di capire tutto, ma di custodire il fuoco dell’attesa. La fede diventa allora non difesa, ma orizzonte; non ricordo, ma futuro. L’umanità non è abbandonata: è visitata.

(Fabio Longoni)

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